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CLASSE 5

STORIE DI SCUOLE

IL CONTESTO TERRITORIALE - CAMPAGNA

Il paese di Campagna si estende in un territorio pianeggiante (250 m s.l.m.) a sud dell’abitato di Maniago. Il nome, probabilmente, deriva dal fatto che il paese sorge in una zona agricola, cioè in campagna. Si usa dire “Campagna di Maniago” in quanto appunto frazione del Comune di Maniago.

 

Il paese si sviluppò all’inizio del 1800. Le prime notizie storiche risalgono al 1805, quando il Casale di Campagna contava 214 abitanti. Una lastra di marmo posta sulla facciata della chiesetta di Sant’Antonio, in Via Pocioi, testimonia però che la chiesa fu riattata nel 1681. Si pensa pertanto che già nel 500 - 600 esistessero degli insediamenti sul territorio.

 

Le prime famiglie che si stabilirono a Campagna furono quelle dei Mazzoli e Brandolisio in centro; Venier verso Tesis; Measso e Andreani verso il Colvera; Di Bortolo “Radicio” e Massaro verso Maniago; Candido “Todesco” verso il Ponte Giulio. Da esse hanno anche preso il nome alcune delle vie: Via dei Venier, Via dei Mazzoli, Via dei Radici, Via dei Meassi, Via degli Andreani.

 

La caratteristica del paese è quella di essere un insieme di case sparse o borgate.

Il centro è rappresentato dalla chiesa che sorge in Via dei Venier. L’aspetto urbanistico del paese è comunque andato modificandosi dopo la 2^ Guerra Mondiale ed in particolare dopo il terremoto del 1976, in quanto, lungo le principali vie, molte case vecchie sono state ristrutturate e ne sono state costruite di nuove.

 

A cominciare dagli anni ’60 si sono insediate a Nord del territorio di Campagna le maggiori fabbriche di Maniago, dando origine così alla zona industriale e successivamente a quella artigianale.

IL CONTESTO TERRITORIALE - DANDOLO

A Sud di Maniago, compresa tra il Colvera e il Cellina, si estendeva la "Campagna Ventunis" terra magra, sassosa in cui venivano portati a pascolare gli "armenti". La Campagna Ventunis fu venduta a Est alla famiglia Tiepolo, che la tenne fino alla fine del 700 e a Ovest, a Mattia Dandolo (1649). Passò poi alla famiglia Contarini che la terrà fino al 1724. Il nome Dandolo ha, dunque, origine dal nobile veneziano.

 

Nelle terre denominate Dandolo di Sopra e Dandolo di Sotto i primi insediamenti sorsero sulla strada oggi Vivarina che altro non era che un sentiero campestre per portare al pascolo gli armenti. Lungo essa, infatti, troviamo dei fabbricati che nella loro struttura presentano caratteristiche attribuibili alla dine del 1700 inizio 1800. La struttura muraria lascia intravedere il muro di sasso tipico di quel periodo e così pure i balconi, con struttura portante in legno. Tra via Carbonera Ovest e Via Parendo Ovest vi è, fra i campi, “la casa abbandonata”, ruderi di un antico nucleo abitativo, dove si può osservare la pavimentazione di “graniglia povera” tipo “veneziana” tipico del 700. Si può inoltre ipotizzare che, dove oggi è situata la cooperativa, ci fosse un’antica casa, forse padronale.

 

Il Dandolo si trova a Sud rispetto a Maniago, di cui è frazione, in un territorio completamente pianeggiante. Il paese si presenta come un gruppo di case distanti le une dalle altre per i molti campi coltivati a mais, soia, vigneti, frutteti e foraggio. Le famiglie si dedicano all’agricoltura e all’allevamento, molti sono occupati nella vicina zona industriale. Le strade sono parallele e diritte, alcune hanno il nome di città istriane perché il paese è sorto proprio per accogliere gli esuli provenienti dall’Istria avvenuto nel 1958-59.

 

Gli esuli occuperanno le case costruite per loro dall’Ente delle Tre Venezie. Le case costruite al Dandolo per gli esuli istriani erano tutte uguali; tutte avevano intorno un’estensione di terreno di circa 13 ettari, che ciascuno poteva coltivare con l’aiuto della cooperativa che forniva dei “servizi agricoli” (arare, seminare…). Il resto del lavoro era manuale.

 

Aprendo la porta d’entrata che era a sud, si accedeva alla cucina; proseguendo c’era un atrio, a sinistra la cantina, a destra un portico. Di fronte le scale, nel sottoscala il bagno. Al primo piano c’erano tre camere e al secondo la soffitta. Al pian terreno, a fianco del portico, c’era la stalla, sopra il fienile. Dietro la casa c’era l’orto con varie piante da frutto, a fianco la concimaia e davanti, tutta prateria.

I SASSI AL DANDOLO SI BEVONO L'ACQUA

INTERVISTA MAESTRO E SINDACO ERMANNO RIGUTTO

Sono entrato in Comune nell'amministrazione 1956/60, con Sindaco Angelo Pompeo Cimatoribus. Nel 1964 sono diventato Sindaco. Nell'amministrazione 1970/75 ero in Regione come Assessore. Sono tornato Sindaco nel 1980/85, fino al 1990.

 

Immaginate che cosa ha significato per gli istriani, che avevano scelto di venir via dalla loro terra perchè perseguitati, arrivare in una terra di sassi: la Tiepola. Io vengo da Arba e là avevamo dei terreni. L'Ente Tre Venezie aveva già predisposto le vigne e certi tipi di culture, me c'erano sassi enormi, che poi sono serviti per fare il sottofondo della Vivarina, prima di asfaltarla. Immaginiamoci che cosa aveva voluto dire mettere i profughi in quella zona.

 

Erano state costruite le strade interpoderali, me non c'era l'illuminazione pubblica. I pioppi piantati lungo le strade non ricevevano cure e portavano le rughe che andavano a finire nelle case: poveretti... facevano pena...erano come in un lager.

 

Mi ricordo che quando sono entrato in Comune (allora facevo scuola alle elementari), c'era l'orario diviso; finivo alle 11.30 e poi via in Comune e così dopo pranzo. Il Sindaco Cimatoribus mi diceva: “Vieni in bicicletta ma con la cravatta: se viene un personaggio importante come ti presenti? Stai poco in ufficio: parla con la gente, domanda se l’illuminazione arde o è bruciata, guarda il pozzetto dell’acqua, le buche: la gente guarda queste cose.”

 

Cimatoribus mi ha anche detto di seguire gli esuli. Ricordo che andavo giù con la moto, la lambretta, ci trovavamo in un prefabbricato dove si faceva tutto dalla messa alla scuola. Si cercava di fare coraggio.

 

Le scuole erano un problema: prima in baracca, poi in Cooperativa, poi nella nuova scuola, che in realtà doveva essere un asilo. C’erano cinquanta, sessanta ragazzi in pluriclassi.

 

Impressionava la notte: tutto era buio. Le lampadine erano di quindici candele. Nel 1958 la luce non era ancora in tutte le case. Nei primi tempi era difficile sopravvivere. Ho cercato di fare in modo che la cooperativa costituita dall’Ente Tre Venezie avesse un significato economico di sviluppo: c’erano le pesche, le pere, il latte. Proponevo di cercare dei posti a Maniago in cui vendere i prodotti. Per il latte cercai di convincere la gente a fare una convenzione con qualche ente pubblico, ma non c’era niente da fare. Ognuno voleva andare a vendere dove voleva. Non siamo riusciti a mettere in piedi una latteria. Io speravo di far diventare il Dandolo “zona di agricoltura specializzata”, ma non ci sono riuscito.

 

C’erano vari nuclei istriani: quelli della costa, quelli dell’interno, più chiusi. E’ stato difficile all’inizio creare comunità.

Dopo il disastro del Vajont del 1963 è stata creata la zona industriale NIP, che ha dato la certezza del lavoro. Le stalle sono state abbandonate e riutilizzate come case di abitazione. Chi non aveva tradizioni contadine ha venduto le proprietà e se ne è andato via. Hanno così comperato i terreni gente che veniva da fuori. L’impianto di irrigazione che era stato costruito era innovativo per quell’epoca, ma poi è risultato insufficiente e si sono dovute trovare altre soluzioni perchè i sassi al Dandolo si bevono l’acqua.

MAESTRO E' PERSONA DI GRANDE CULTURA

Io ho studiato in Seminario, ho frequentato il ginnasio e il liceo. Sono andato fino a Vittorio Veneto in bicicletta per fare gli esami.

Ho insegnato un anno al Percoto di Udine e poi nel 1940 sono andato  a fare il militare dove davo ripetizioni di latino al figlio di un maggiore e alla figlia di un colonnello.

 

Ho tenuto corsi serali a Trieste come maestro fuori ruolo e poi sono finito a Vivaro come provvisorio.

Ho fatto il concorso e sono andato ad insegnare a Maniago alle post-elementari, c’eravamo io e la maestra Cipolli con le femmine.

 

Nel 1963 il Commissario del Governo mi ha distaccato in seguito al disastro del Vajont per assistere i bambini scampati alla tragedia. Ero una specie di responsabile pedagogico e facevo da supporto a questi bambini che avevano perso tutto e avevano vissuto una catastrofe inimmaginabile.

 

Sono poi andato a fare il Consigliere Regionale e ho terminato la mia carriera da maestro.

 

Io ho sempre insegnato secondo una massima che mi aveva consigliato il mio vecchio maestro: "I metodi non valgono, vale l’intelligenza dell’insegnante."

IL RACCONTO DI NONNA ALBA

Sono nata a Parenzo nel 1934, allora era Italia. Si viveva bene, avevamo un bar e mio papà faceva il fattore per un signore che aveva tanta terra. Dopo il 1945 il vivere in terra d’Istria, per noi Italiani, era diventato “tragico”. Non c’era lavoro, eravamo perseguitati dai “milizioneri” la polizia ci aveva preso tutto.

Nel 1952 optiamo per venire in Italia. Si andava in ufficio a Parenzo, si compilavano i documenti e si attendeva il passaporto. Mandavano me all’ufficio a fare la fila per vedere se era arrivato perché, essendo bambina, mi facevano meno “angherie”.

Nel 1957 arriva il passaporto. Partiamo…il battello ci porta a Trieste…l’Istria scompare tra le onde. Stiamo al campo profughi poi ci portano a Udine in Via Pradamano per un mese, poi ad Aversa in Campania. Per noi è stato uno “shok”. Non vi sono parole per raccontare ciò che abbiamo subito…prima e… dopo.

Il 14 aprile 1959 giungiamo al Dandolo: qui c’è la terra da lavorare, la casa, la stalla e gli animali. L’Ente delle Tre Venezie ci ha assegnato 4 mucche e 20 galline: si pagano a rate in cinque anni… Si lavora la terra, la cooperativa ara e poi noi, quando è il momento, si zappa, tutto a mano. La terra è sassosa, si raccolgono i sassi, si fanno i mucchi ai bordi dei campi, l’irrigazione viene fatta con tubi portati a mano…quanta fatica!

Trent'anni per riscattare casa e terra!