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CLASSE 5

STORIE DI MAESTRI

LA STORIA DELLA SCUOLA DI CAMPAGNA

La costruzione della scuola elementare iniziò nel 1912 con la realizzazione delle prime due aule.

Nel 1948 si procedette alla costruzione di altre due aule al piano superiore; due nuove stanze vennero infine realizzate nel 1968. Dal 1988 al 1990 furono ultimati i lavori di costruzione della palestra annessa all'edificio scolastico. Nel 2005 fu inaugurata la mensa.

A Campagna nel 1876 l'attività didattica veniva svolta da una sola insegnante. L'attuale edificio scolastico non esisteva e le lezioni si svolgevano in una casa chiamata "casa Todesco". Nel 1890 la scuola fu ospitata presso un edificio di Lorenzo Tramontina chiamato "casa Gravena". Nel 1912 si iniziò la costruzione dell'attuale scuola con due sole aule per la I, la II e la III classe. In quel periodo erano iscritti circa 40 scolari. Poi nel 1948 vennero edificate altre due aule e nel 1968 ancora due. L’edificio ha mantenuto la struttura originaria, ma modifiche sono intervenute negli spazi esterni. Dal portone fino all'ingresso della scuola c'era un viale alberato.

La gente del paese ha diversi ricordi. Qualcuno si ricorda che i bambini portavano delle uova a scuola, che poi venivano vendute e con il ricavato fu acquistata una bandiera. Si ricorda che il maestro di allora viveva all'interno dell'edificio scolastico. Aveva due stanze, una cucina e una camera da letto. Si era, inoltre, costruito un pollaio sul retro.

Le classi erano molto numerose: composte anche da 30 bambini. Le lezioni si svolgevano solo al mattino, di solito dalle 8.30 fino alle 12.40. La prima ora era sempre dedicata alla religione, le successive alle altre materie.

IL RACCONTO DI NONNA ISIDE

La scuola è stata costruita nel 1912 a piano terra con un piccolo rialzo e in mattoni lasciando dei piccoli vuoti in modo che l'aria circolasse per non portare muffa ai pavimenti fatti di legno.

Mi ricordo che questi vuoti erano pieni di topi, servivano di rifugio per i partigiani, per i tedeschi e a noi ragazzi quando si giocava a nascondino. Nella scuola non c'era riscaldamento, c'erano delle stufe alte fatte di mattoni che facevano tanto fumo e poco fuoco, così il caldo non era tanto.

Per andare a scuola si andava a piedi, le bambine ai piedi avevano le famose dalmine di legno e i maschietti gli zoccoli pure di legno.

All'interno qualcuno si copriva con la mantella di panno portata a casa dai nonni dopo la 1^ guerra Mondiale. Le cartelle erano di cartone e o di sacco, uguali erano gli astucci fatti di stoffa o di legno, nella cartella si teneva due quaderni e il sussidiario che doveva servire fino alla quinta. Nell'astuccio c'era una matita, una gomma e sei colori, un pennino e una piccola canna di granoturco che serviva da porta penna.

La divisa era di obbligo il grembiule nero per le bambine e la giacca per i maschietti, pure le insegnanti avevano il grembiule nero e il colletto bianco.

Le insegnanti venivano da Maniago. Una aveva la 1 e la 2, l'altra maestra aveva la 3^, la 4^ e la 5^. Le lezioni erano a tempi pieno, si portava da mangiare al sacco, solo il sabato era mezza giornata.  Il mezzo di trasporto delle insegnanti era la bicicletta.

Il tetto della scuola era fatto di legno coperto di coppi rossi che quando pioveva tanto, gocciolavano in diverse parti.

Le aule erano piene di secchi, catini, ecc. che la bidella metteva. In compenso la scuola aveva  il parafulmine almeno dai fulmini eravamo al sicuro.

I banchi erano scomodi fatti di legno, grandi, pesanti e avevano una tavola piana per sedersi e una più fine per poggiaschiena, in ogni banco stavamo tre alunni e ogni alunno aveva il suo calamaio incorporato nel banco pieno d'inchiostro.

Mentre l'insegnante spiegava la lezione diede un urlo alzandosi di colpo e scappando. Non si era accorta che sotto la cattedra un grosso topo aveva fatto un buco dove poteva uscire e rientrare senza essere disturbato.

Ricordandomi di un altro episodio. Era il periodo della II^ Guerra, quando si sentivano le campane e le sirene suonare e da lontano il rombo dei cacciabombardieri con le maestre si andava al riparo nei rifugi dove erano i nostri familiari, si ascoltava in silenzio. Un bambino si alzò e disse"Almeno bombardassero la scuola"

A scuola a Campagna anni '20
A scuola a Campagna anni '20

IL RACCONTO DI NONNA GIOVANNA

Tanti sono i ricordi legati al mio periodo scolastico nella scuola di Campagna, ne voglio citare qualcuno di simpatico, allegro, importante.

Non ricordo bene se in classe 2^ o 3^ assieme alle altre classi abbiamo dedicato una giornata a festeggiare tutte le bandiere del mondo. Abbiamo lavorato con carta e colla riproducendole tutte. In corteo, agitando tutti quei meravigliosi colori, i miei amici hanno percorso le strade di Campagna ed io, che dovevo portare la bandiera della Svizzera, ero a letto con il morbillo!!

Grande nel mio cuore è il ricordo delle bellissime recite in occasione del Natale, c'erano i bimbi vestiti da pastori, da Re Magi, da angeli,stelline e pecorelle. I maestri avevano costruito la capanna e la culla dove c'era un bel bambolotto. A me è toccato l'importante compito di raffigurare la Madonna; San Giuseppe era Gian Paolo Pivetta, nonno di Leonardo e due bimbi camminavano carponi con una coperta sopra a raffigurare il bue e l'asinello.

In classe quarta il mio maestro Addovizio Angelo di Avellino aveva inventato un simpatico sistema per farci studiare. Preparò cinque coccarde: una azzurra per l'italiano, una rossa per la matematica, verde per storia e geografia, bianca per la bontà e la nera era il fanalino di coda. Veniva puntata sul petto di ogni bimbo meritevole secondo la materia in cui si distingueva. Facevamo a gara per portarcele via. Io ho portato con orgoglio a lungo quella azzurra per l'italiano e molte volte quella bianca della bontà...e una sola volta quella rossa della matematica. In due si contendevano sempre quella nera del fanalino di coda!!!

I maestri a quei tempi arrivavano in bicicletta da Maniago. Noi bambini facevamo a gara per arrivare per primi per poi portare la borsa della maestra.

Un giorno una mia amica che correva dietro a me, per fermarmi, mi gettò a terra la cartella tra i piedi facendomi cadere sulla ghiaia. Mi sono sbucciata un ginocchio ed ancora oggi ne porto le cicatrici. 

Le bandiere
Le bandiere

I BAMBINI SONO TUTTI BRAVI

INTERVISTA MAESTRO FRANCO MELITA

Maestro Franco Melita
Maestro Franco Melita

Il “maestro” Franco oggi è un Dirigente Scolastico.

Ha insegnato nella scuola di Campagna per vent’anni dal 1982 al 2003.

Nel 1973 ha iniziato la sua carriera di Insegnante a Meduno.

E’ stato per nove anni maestro unico e poi ha insegnato matematica e scienze nelle classi a modulo (due insegnanti su tre classi).

 

Il maestro Franco ci ha raccontato che da adesso a vent’anni fa ci sono stati tanti cambiamenti nella Scuola di Campagna.

Non c’erano la palestra e la mensa, il cortile era molto più piccolo, perché c’era l’edificio della “latteria”. C’erano due grandi pini che adesso non ci sono più, dove si faceva lezione all’aperto durante le giornate più calde.

Nel 1992 si è iniziata la costruzione della palestra e nel 2005 è stata inaugurata la mensa.

 

La Scuola di Campagna è stata la prima a decidere di chiudere le lezioni al sabato e di fare cinque giorni di scuola con il pomeriggio. Si è sempre fatta la mensa a scuola. I bambini mangiavano nell’edificio della Scuola Materna.

“Si dava fastidio, perché i bambini delle elementari erano tanti, rumorosi e grandi”.

Le insegnanti della Scuola Materna hanno però aiutato e sostenuto, perché hanno capito che per mantenere aperta la scuola elementare, che aveva pochi bambini, era necessario collaborare tutti insieme.

 

La scuola aveva una media di 15 alunni per classe. Una cosa importante che la Scuola di Campagna ha sempre portato avanti è stata una grande attenzione al territorio. Si era attenti ai lavori dei campi, all’allevamento, all’ambiente naturale. Si usciva attorno alla scuola e nel paese per effettuare ricerche storiche, geografiche, scientifiche, in particolare nel boschetto vicino alla scuola. Si seguivano le tradizioni locali legate al mondo agricolo, erano moltissimi i bambini che disegnavano trattori. L’ambiente e il paese di Campagna non è molto cambiato da quando me ne sono andato, a parte la piazza e le case nuove è rimasto come allora.

 

Era molto bello insegnare, perché il rapporto con i bambini, i genitori e la gente del paese era molto positivo. C’era un interesse e coinvolgimento maggiore attorno alla scuola.

“I bambini di Campagna me li ricordo buoni, c’era qualche furbetto in più e qualche furbetto in meno, ma erano buoni e bravi. Io sono sempre stato convinto che i bambini sono tutti bravi.”

Demolizione latteria per allargamento cortile
Demolizione latteria per allargamento cortile

UNA VOLTA ERA SCUOLA DI VITA

INTERVISTA MAESTRO BENITO BELTRAME

Ho scelto di fare il maestro dopo la scuola media quando ho deciso di frequentare la scuola per “Costruttori Aeronautici Locatelli” di Udine, ma l’impegno era molto grosso e la mia vista non mi permetteva di farlo. Così l’anno dopo mi sono iscritto All’Istituto Magistrale di Sacile, andavo con il treno, scendevo e salivo a piedi da Maniago, e vivevo in una famiglia vicino alla scuola.

 

Ho fatto la guerra, sono stato richiamato nel 1944 così ho smesso le Superiori e sono rientrato il 9 maggio del ‘45, subito dopo ho dato gli esami e mi sono diplomato.

 

Nel 1946 già insegnavo come supplente a Maniago, poi  a Fratta.

 

Nel 1946 ho iniziato a insegnare a Colvere dove ho trovato 33 bambini di tutte 5 le classi. Eravamo in una stanza 4x4, piccolissima. L’ultimo bambino  in fondo alla classe per uscire per andare in bagno, che era fuori all’esterno, doveva far alzare una fila di sei alunni per poter passare.

 

Un giorno è venuta l’Ispettrice Tagliariol, di Pordenone con degli insegnanti: sono entrati in classe, guarda la situazione e dice: “Ma siete come le sardine!” E sì eravamo proprio come le sardine.

 

Così, ai bambini prima ho spiegato che dovevamo costruire la scuola e i bambini mi hannno detto :

“E noi cosa dobbiamo fare?”

“Voi dovete portare i sassi per costruire la scuola e domenica prossima mi mandate le mamme qui. Dite alla mamme che vengano a scuola che parlo io.”

Alle mamme ho detto: “Bisogna che costruiamo la scuola, io non posso tenere i bambini qui, devo far lezione all’aperto, ho messo le lavagne verticali, non ho la cattedra perchè devo far stare i bambini.”

Ho chiesto che tutta la settimana ne parlino a casa e che preparino i papà su cosa dovranno dirmi la domenica successiva. E i papà la domenica successiva sono arrivati alla vecchia scuola.

Mi ricordo il papà di Marco che quando mi ha visto a 50 m. mi grida: “Maestri! Lui a lè mat”. 

“No soi mat –ho risposto io- ma insomma vigni dentri”. 

Li ho fatti entrare  e li ho fatti sedere al posto dei loro figli: “Ma qui non si sta –dissero- non è possibile stare!” 

“E’ per questo che vi ho chiamato, dobbiamo costruire la scuola.”

Era appena finita la guerra e non si aveva niente, allora ho detto questo per convincerli: “I vostri genitori si sono costruiti da soli la loro casa, con l’aiuto dei vicini, della gente del paese,  e noi forse fra tutti possiamo costruire la scuola.” 

“Ma non abbiamo soldi!” esclamarono. 

Al papà di Marco che era un Consigliere Comunale ho detto: “Va ben, cominci a darsi da fare, magari il Comune ci compera la calce.”

 

E poi la calce ce la siamo fatta da soli: abbiamo costruito la fornace, andavamo il sabato e la domenica a raccogliere la legna di castagno secca e poi i bambini hanno portato i sassi che abbiamo cotto. La calce è stata cotta per sette giorni consecutivi e c’è stato sempre un genitore che faceva la guardia perché il fuoco non doveva morire.

 

Abbiamo iniziato nel 1947 a costruire la scuola, c’è stato un signore che abitava in America che ci ha regalato il terreno e l’abbiamo costruita lì sulla strada perché non c’era altro spazio. Quella volta i terreni avevamo molto valore perché tutti possedevano animali, mucche e il terreno serviva per la fienagione.

 

Abbiamo iniziato a portare su i sassi dal Colvera, non c’erano le macchine, c’era solo un camion di uno delle Vals che trasportava materiali per tutto il Comune. Io, a quel tempo, avevo una moto SERTUM NERA 350 con le marce a mano, ma prima andavo giù a scuola in bicicletta.

 

Durante la ricreazione i bambini prima mangiavano il panino e poi andavano  nel Colvera a prendere,  a seconda dell’età, un sasso, chi lo portava piccolo chi lo portava grosso e poi lo depositava sul mucchio dei sassi .

 

Gli uomini invece usavano un asino di uno giù di Fornasatte.  Il proprietario col carro veniva a prenderci nella cava dei sassi che è sotto a Crosera, lì spaccavano i sassi e poi li portavano giù con il carro e l’asino. Ogni sabato e ogni domenica per due anni abbiamo lavorato tutti assieme e abbiamo costruito la scuola.

La scuola è rimasta aperta per tanti anni, al piano terra una stanza era riservata per la popolazione, per fare una festa, una riunione, e sopra c’erano le classi, il bagno era esterno.

 

In quegli anni io e i bambini siamo andati dove il papà di uno di loro faceva legna. Aveva messo la corda a sbalzo fino a Fornasatte, siamo saliti per diversi giovedì io e i bambini. Abbiamo fatto dei fascinoni grandi,  che poi sono scesi per la corda e in seguito sono stati venduti al Forno di Sequals. Con i soldi che avevamo guadagnato, abbiamo comprato un pallone di cuoio, che si pompava con la pompa della bicicletta.

 

Sono andato ad un corso a Roma sull’educazione al lavoro, e alla fine hanno chiesto se qualcuno aveva qualcosa da raccontare e io ho detto che noi avevamo costruito la scuola con i bambini. Mi hanno pubblicato così un articolo sulla rivista didattica “Scuola Italiana Moderna”.

 

La scuola di Colvera è stata acquistata dal Comune, sopra ha fatto un appartamento e sotto ha lasciato la stanza a disposizione della popolazione. Il giorno in cui è stata inaugurata è venuto il Sindaco a prendermi in macchina, tutti sono entrati nell’edificio, ma un signore mi ha distratto facendomi vedere delle cose, poi siamo scesi e non ho visto più nessuno, sono entrato così nell’aula al piano superiore e c’erano tutti i miei ex alunni,seduti sui banchi di una volta, che si sono alzati in piedi e mi hanno detto: “Buongiorno Signor Maestro”

 

Costruzione della Scuola di Colvera
Costruzione della Scuola di Colvera

Per entrare in ruolo ho dovuto superare un esame a Udine dove ho dovuto “insegnare agli insegnanti” e ho tenuto scuola a tutti gli insegnanti e direttori didattici che erano lì. Mi avevano dato un pacco di fogli di alunni di classe quinta da correggere e dovevo insegnare come io avrei fatto. La prima cosa che ho fatto è stato di far scambiare il quaderno dei bambini.  La prima correzione dovevano farla loro, poi li facevo mettere dietro di me e io leggevo ad alta voce e aspettavo che capissero l’errore. Gli insegnanti erano rimasti molto colpiti da questa mia modalità e ho superato l’esame.

 

Dopo l’esame sono stato mandato dal Provveditorato di Udine a laTesis Auris  era il 1954-55. Sono salito in Vespa. La prima volta che sono salito c’erano dei mucchi di ghiaccio sotto le gallerie, c’era la neve e io con la Vespa sono caduto proprio il primo giorno. Ho dovuto lasciarla al lago. Ero salito con le scarpe basse, quindi son dovuto scendere a  Tolmezzo a comprare le scarpe giuste e ho fatto delle spese per cui non avevo i soldi per pagare.

 Dopo due mesi sono andato a comprare gli sci per sciare con i miei bambini.

 

Dopo tre giorni che ero lì mi ha telefonato mia madre che mi disse che c’era un posto a Navaros, quindi vicino a casa, ma io le ho detto che rimanevo lì perché mi ero già affezionato agli alunni e prima di me c’erano già state sette maestre. I genitori mi sono stati molto grati.

 

Insegnavo alla scuola di disegno per adulti. I ragazzi  la frequentavano perché avevano modo di trascorrere le serate , non c’era la televisione, non c’era la radio, non c’era niente. Ci riunivamo insieme nella scuola e per scaldarci c’era un bidone che era pieno di segatura, facevamo il buco nel mezzo e davamo fuoco,  tutto si scaldava velocemente. Con i ragazzi ci divertivamo. Mi hanno chiesto come potevano pagarmi, loro avevano la slitta e gli ho chiesto di accompagnarmi a casa dopo le lezioni. Si arrivava invece fino al lago con le slitte e si rimaneva lì fino a mezzanotte. Ci divertivamo, ero giovane.

Lateis di Sauris
Lateis di Sauris

A Campagna ho insegnato per  sette anni, dal 1970 al 1977, poi il Direttore mi ha chiamato a dirigere il Patronato Scolastico per due anni, e infine ho fatto il Vice Direttore per un anno.

 A Campagna ho avuto per la prima volta una classe unica, perché prima avevo sempre lavorato con le pluriclassi.

 A Campagna le attività erano sempre molte, oltre alle discipline come italiano e matematica, si facevano lavori manuali, canti e danze, poesie, giochi sportivi e legati a piccole competizioni.  Si festeggiava il Carnevale, che nel territorio rimane sempre una festa importante. Era normale ogni anno fare “L’Accademia”, dove di solito tutti gli alunni delle classi eseguivano canti e danze in friulano, anche su testi scritti e spesso musicati da Don Vittorio.

Si festeggiava la giornata del risparmio scrivendo e componendo dei testi. Si decideva “democraticamente” quali temi svolgere in classe, votando quelli che piacevano di più. Si facevano operazioni e problemi  di matematica. Questi ultimi erano molto legati a situazioni della vita quotidiana, in particolare alle misure dei campi, alle spese per i raccolti, alle attività del mercato. Essi riproducevano l’ambiente nel quale i bambini ogni giorno crescevano e il mondo con il quale erano in contatto. Si usava molto il disegno tecnico, per la riduzione in scala di ambienti e di terreni e su questi, si costruivano problemi, spesso anche complessi, che miravano a far acquisire ai bambini una buona visione della realtà e a saperla interpretare usando gli strumenti adeguati. Erano situazioni molto pratiche.

 

Io non davo mai molti compiti per casa durante le vacanze, perché ritengo che non si deve costringere i genitori a stare a casa a causa dei figli. I bambini devono andare a passeggio e a giocare e i genitori devono essere liberi almeno a Natale e Pasqua.

 C’era la biblioteca scolastica, di cui tenevo il registro, In quegli anni i bambini leggevano molto. Io chiedevo la lettura ad alta voce sempre, perché ritengo che solo ascoltandosi i bambini possano capire se commettano errori  oppure no.

 

Spesso ho affidato dei temi scritti nei dialetti e nelle lingue locali. A Campagna infatti frequentavano la scuola bambini che avevano provenienze diverse, dal Veneto al Val Tramontina. Solo l’ultimo anno ho avuto due bambini istriani dal Dandolo.

 

Accadeva che io un anno nel 1972 avevo la terza classe e la maestra Fidelia aveva i bambini di prima classe. Tra tutti i bambini di prima classe ce n’erano due che litigavano sempre tra di loro, uno sapeva già leggere e scrivere e a scuola disturbava tutti, ma era soprattutto l’altro bambino che aveva delle difficoltà. Così ho chiesto ai miei bambini di portarne via uno per poterlo aiutare e per lasciare lavorare la maestra Fidelia. E’ stato tre anni con noi e i bambini lo hanno aiutato, così non disturbava più in classe. Accade che per premiare questo bimbo l’ho portato a casa a dormire, qui da noi, e poi l’ho portato a scuola in Vespa. Era un ragazzo particolare, figlio di una famiglia povera con molti figli, ho fatto così un ragionamento, mi sono chiesto “Perché si comporta così?”. Allora sono andato dal DORU e ho preso due vecchie biciclette. Di due, ne ho fatta una. Quando è stata pronta l’ho regalata a questo bambino e lui è cambiato completamente, non ha più fatto dispetti. L’avevo conquistato.

Classe 1
Classe 1

Una volta era scuola di vita, avevo una bambina che non sapeva camminare bene, ma sapeva portare la gerla, non aveva mai avuto una bambola, e a Natale i suoi compagni gliel’hanno regalata. Ho avuto bambini che venivano a scuola con la febbre e che poi dovevo riportare  a casa, a scuola stavano bene, si divertivano. A pranzo, in Colvera, andavano a casa mangiare, io mi facevo una bistecca, ma loro arrivavano prestissimo perché lì stavano bene. Andavamo fuori sul territorio. Per noi la conoscenza del territorio era importantissima. Come quando siamo andati in visita a Redona, prima della costruzione della Diga e dell’allagamento dell’invaso. Lì c’era una teleferica lunga 14 Km, che portava giù la legna dal Monte Raut fino a  Redona. Quando hanno chiuso la diga e avviato l’invaso del lago, siamo tornati in gita a vedere come e cosa era cambiato. Si facevano molto spesso lezioni all’aperto, soprattutto di agricoltura: c’erano le viti, c’erano alberi da frutta e io insegnavo le caratteristiche delle piante, come potarle, come curarle. Quello di cui ci occupavamo era legato al mondo che stava intorno quella volta e alle esigenze che il territorio esprimeva.

 

Si cercava di stimolare nei bambini la loro fantasia e creatività, attraverso l’espressione scritta con testi e soprattutto poesie che, il più delle volte, prendevano spunto da ciò che stava attorno e con il quale quotidianamente gli alunni erano in contatto.

 

Io ho sempre preteso che il Provveditorato agli Studi pagasse un insegnante per le bambine per educarle ai lavori manuali. Le bambine in genere eseguivano lavori a mezzo punto, mentre io insegnavo il traforo ai maschi. Quando vado nelle case dei miei ex alunni c’è sempre un angoletto dove questi oggetti sono conservati. Le bambine, oramai signore, quando mi telefonano mi dicono: “Maestro ce l’ho ancora il lavoretto che ho fatto a scuola!”

 

Era importante capire i bambini, quando si stancavano, dopo un compito bisognava lasciarli fare un giochino. Lavoravo moltissimo perché per me ogni bambino era unico, non era avere cinque classi, ma trentatre classi! Ogni bimbo reagiva in maniera diversa e il mio compito era di pensare ad ognuno di loro in maniera diversa. Non c’erano i fotocopiatori così rimanevo alzato fino a tardi la notte per preparare compiti che fossero adatti e significativi per ogni singolo alunno. Io li ricordo tutti e loro ancora si ricordano di me, mi scrivono, mi vengono a trovare, mi fermano per la strada.

 

Io i miei bambini li seguo ancora adesso e loro, che sono ormai degli adulti, mi dicono quando mi incontrano:

“Oh! Il mio maestro”, gli rispondo: “Ma io non sono stato il tuo maestro”.

Mi guardano e sorridendo affermano: “Ehhh, ma lei è stato il maestro di tutti!”

Maestro Beltrame Benito e i suoi alunni
Maestro Beltrame Benito e i suoi alunni