Clicca qui per accedere

NEL MARE CI SONO I COCCODRILLI

Non ero granchè attento quella mattina.

Ascoltavo il maestro con un orecchio e con l'altro davo retta ai miei pensieri sul torneo di Buzul-bazi che avevamo organizzato per il pomeriggio.

Buzul-bazi era un gioco che si fa con un osso preso dalla zampa delle pecore, dopo che le si è bollite, un osso che assomiglia un po’ a un dado, se si vuole, oppure come con le biglie. E’ un gioco che si fa sempre, da noi, in qualunque stagione, mentre costruire aquiloni è più una cosa per la primavera o per l'autunno, e il nascondino un gioco da inverno. Stare fermi tra i sacchi di grano o in mezzo a un mucchio di coperte o dietro a due rocce, stretti insieme a qualcuno, è persino piacevole, d'inverno, con il freddo che fa.

Il maestro parlava di numeri e ci stava insegnando a contare, quando abbiamo sentito una moto che girava attorno alla scuola come per cercare l' entrata, anche se non era molto difficile da trovare. Il motore si è spento. Sulla porta è apparso un talebano enorme, con quella barba lunga che hanno loro, e che invece noi hazara non possiamo avere perchè siamo tipo i cinesi o i giapponesi, che hanno pochi peli in faccia. Il talebano, con il fucile, è entrato in classe e ha detto ad alta voce che

 

bisognava chiudere la scuola,  punto.

 

Il maestro ha chiesto perchè. Lui ha risposto: é stato il mio capo a deciderlo, dovete ubbidire. E se n'è andato senza aspettare una risposta o dare altre spiegazioni.

Il maestro non ha aggiunto nulla, è rimasto immobile, ha atteso di sentire il rumore del motore che spariva lontano e ha ripreso a spiegare  matematica dal punto esatto in cui si era interrotto, con la stessa voce tranquilla e il sorriso timido.

Perchè il mio maestro era anche una persona un po’ timida, non alzava mai la voce e quando sgridava sembrava spiacesse più a lui che a te.

Il giorno dopo il talebano è tornato, lo stesso, con la stessa moto. Ha visto che noi eravamo in classe,con il maestro che faceva lezione. E' entrato e ha chiesto al maestro:

- Perchè non avete chiuso la scuola?

- Perchè non c'è motivo di farlo.

- Il motivo è che lo ha deciso il Mullah Omar.

- Non è un buon motivo.

- Il mullah Omar dice di chiudere le scuole hazara.

- E dove andranno a scuola i nostri ragazzi?

- Non ci andranno. La scuola non è fatta per gli hazara.

- Questa scuola sì.

- Questa scuola va contro il volere di Dio.

- Questa scuola va contro il vostro, di volere.

- Voi insegnate cose che Dio non vuole che siano insegnate.

- Insegnamo ai ragazzi a essere delle brave persone.

- Cosa significa essere delle brave persone?

- Sediamoci. Ne parliamo.

- Non serve. Ve lo dico io. 

 

Il talebano è passato tra di noi, respirando forte senza aggiungere altro, è uscito ed è risalito in sella alla moto.

La terza mattina, dopo quel giorno, era una mattina d’autunno, di quelle con il sole ancora caldo che la prima neve sciolta nel vento non riesce a raffreddare, ma solo a insaporire; una giornata perfetta per far volare gli aquiloni.

Stavamo ripetendo una poesia in lingua hazaragi per prepararci allo sherjangi, la battaglia dei versi, quando sono arrivate due jeep piene di talebani. Siamo corsi alle finestre per vederli. Tutti i bambini della scuola si erano affacciati, anche se avevano paura, perché la paura è attraente, quando non sai riconoscerla. Sono scesi dalla jeep venti, forse trenta talebani armati. Soni scesi e lo stesso uomo dei giorni precedenti è entrato in classe e ha detto al maestro:

- Ti abbiamo detto di chiudere la scuola. Tu non hai ascoltato. Ora saremo noi a insegnare qualcosa.

L’edificio scolastico era spazioso e noi eravamo tanti, forse più di duecento. Per costruirlo, anni prima, ogni genitore aveva dato diverse giornate di lavoro, ognuno per come poteva, per fare il tetto o per chiudere le finestre in modo che il  vento non entrasse e si potesse fare lezione anche d’inverno. La scuola aveva diverse classi e anche un preside.

I talebani hanno fatto uscire tutti, bambini e adulti. Ci hanno ordinato di metterci in cerchio, nel cortile, i bambini davanti, perché eravamo i più bassi e gli adulti dietro. Poi al centro del cerchio hanno fatto andare il maestro e il preside.

Il preside stringeva la stoffa della giacca come per stracciarla, e piangeva e si voltava a destra e a sinistra in cerca di qualcosa che non trovava.

Il maestro, invece, era silenzioso come suo solito, le braccia lungo i fianchi e gli occhi aperti, ma rivolti dentro se stesso,

lui che, ricordo, aveva dei begli occhi che dispensavano bene tutt’intorno.

 

 

Ba omidi didar ragazzi, ha detto. Arrivederci

Gli hanno sparato. Davanti a tutti.

Da quel giorno la scuola è stata chiusa,

ma la vita, senza la scuola, è come la cenere.

Brano tratto da: “Nel mare ci sono i coccodrilli” di Fabio Geda


Storia vera di Enaiatollah Akbari